Chi era Vivian Maier? Una bambinaia, una governante, una fotografa. Tutto questo e molto di più. Una donna enigmatica, solitaria, che visse nell’ombra per tutta la vita, lasciando dietro di sé un tesoro di immagini capace di rivoluzionare la storia della fotografia contemporanea.
Un’infanzia tra due mondi
Vivian Maier nacque nel 1926 nel Bronx, a New York, da madre francese e padre austriaco. Fin da piccola visse in un ambiente instabile: il padre abbandonò presto la famiglia, e Vivian trascorse parte della sua infanzia accanto alla madre e alla fotografa Jeanne Bertrand, una ritrattista di successo che, probabilmente, le trasmise la passione per l’immagine. Nel 1932, la crisi economica costrinse madre e figlia a lasciare l’America per tornare in Francia, nella valle di Champsaur. Qui la piccola Vivian, che parlava solo inglese, dovette confrontarsi con la vita rurale dei contadini francesi. È di quegli anni uno dei primi ritratti noti: una foto di lei e della madre, sedute davanti a una fattoria, con uno sguardo serio e imbarazzato.
Dalla fabbrica di bambole alla macchina fotografica
Nel 1938, a dodici anni, Vivian Maier tornò a New York. Trascorse l’adolescenza durante la Seconda Guerra Mondiale e, poco più che ventenne, iniziò a lavorare in una fabbrica di bambole, un impiego che anticipava la sua futura professione: quella di bambinaia. Nel 1950 tornò in Francia per sistemare alcune questioni ereditarie. Portò con sé una macchina fotografica e scattò le sue prime tremila immagini. Da quel momento non si fermò più.

La tata con la Rolleiflex
Negli anni Cinquanta Vivian Maier iniziò a lavorare come tata a New York. Vestita in modo semplice, sempre con la macchina fotografica al collo, percorreva le strade dell’Upper West Side in cerca di volti, riflessi, scene quotidiane.
Nel 1952 acquistò la sua prima Rolleiflex, una fotocamera di medio formato che divenne la sua compagna inseparabile. Il suo sguardo era diretto e intimo, a volte ironico, altre volte spietato. Fotografava persone comuni, senzatetto, bambini, donne eleganti, passanti distratti. Le sue immagini, spesso in bianco e nero, raccontano la vita urbana americana con una sensibilità unica.
Chicago e gli anni del silenzio
Nel 1956 Vivian Maier si trasferì a Chicago, dove continuò a lavorare come tata presso famiglie benestanti. Anche lì fotografava instancabilmente, accumulando negli anni oltre centomila negativi, diapositive, pellicole e rullini mai sviluppati. Eppure, nessuno — né le famiglie per cui lavorava, né i conoscenti — immaginava la portata della sua opera. Vivian non mostrava le sue foto, non cercava riconoscimento. Fotografava per sé, in silenzio, come se stesse costruendo un archivio segreto del mondo.
La riscoperta postuma
Nel 2007, poco prima della morte di Maier, un giovane ricercatore di Chicago, John Maloof, acquistò per caso a un’asta alcune scatole piene di negativi. Quelle immagini lo colpirono profondamente: iniziò a digitalizzarle e a pubblicarle online. La risposta fu immediata. Critici, artisti e appassionati rimasero affascinati dal talento di quella sconosciuta. Quando Vivian Maier morì nel 2009, la sua fama era appena esplosa: l’anonima bambinaia era diventata, in pochi anni, una delle più grandi fotografe di street photography del Novecento.
Un’eredità inestimabile
Oggi le fotografie di Vivian Maier sono conservate e studiate in tutto il mondo. Esposte nei musei, vendute nelle gallerie, raccontate in libri e documentari, rappresentano uno sguardo autentico, femminile e poetico sulla vita urbana.

©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof | Collection and Howard Greenberg Gallery, NY
Il suo archivio comprende più di centomila negativi, migliaia di stampe e rullini ancora non sviluppati. Un patrimonio destinato a rivelare ancora molto di lei — di quella donna misteriosa che, senza mai volerlo, ha saputo immortalare l’anima della modernità.
Vivian Maier, la fotografa invisibile
Vivian Maier è la dimostrazione che il vero talento non ha bisogno di palcoscenici.
Una donna riservata, indipendente, con un amore viscerale per la fotografia, capace di trasformare la sua solitudine in arte. Con il suo obiettivo, ci ha mostrato che ogni angolo di strada nasconde una storia, e che anche chi resta invisibile può, un giorno, cambiare la storia dell’arte.
