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    Home»Iconografia»Riconoscere i santi nell’arte: imparare a leggere le immagini sacre
    iconografia classica immagini sacre
    Iconografia

    Riconoscere i santi nell’arte: imparare a leggere le immagini sacre

    RedazioneBy RedazioneOttobre 15, 2025Nessun commento5 Mins Read
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    Davanti a una Natività o a un’Annunciazione non serve un grande sforzo: chi siano i protagonisti raffigurati è evidente. Maria, Gesù Bambino, Giuseppe, l’angelo Gabriele. La scena è nota, rassicurante, quasi “familiare”, anche per chi non ha una formazione specifica in storia dell’arte. Ma tutto cambia quando ci si trova davanti a un’opera complessa, come un polittico medievale o una Sacra Conversazione rinascimentale. Chi sono quei personaggi silenziosi, vestiti con abiti ricchi o logori, armati di lance, chiavi, libri, a volte trafitti da frecce o accompagnati da animali strani? Se non si conoscono i cosiddetti attributi iconografici, diventa difficile – se non impossibile – dare un nome a quei volti.

    Con il termine “attributo iconografico” si indica un insieme di elementi visivi che, nella tradizione artistica cristiana, servono a identificare figure sacre, in particolare i santi. Oggetti, gesti, abiti, animali, colori, persino ferite o posizioni del corpo: ogni dettaglio ha un significato e racconta una storia. Imparare a riconoscerli significa non solo orientarsi meglio tra le immagini religiose, ma anche avvicinarsi con maggiore consapevolezza alla lettura delle opere d’arte.

    Image by Jacques Savoye from Pixabay

    Uno dei santi più frequentemente rappresentati è San Giovanni Battista. La sua immagine è inconfondibile: abiti di peli di cammello, corpo asciutto, volto severo, capelli spettinati, bastone con la croce. È l’eremita che vive nel deserto, il profeta che battezza Cristo, il martire la cui testa – in molte rappresentazioni – è posta su un vassoio. A volte compare anche da bambino, accanto al piccolo Gesù, oppure nell’atto di battezzarlo nel fiume Giordano.

    Un’altra figura facilmente riconoscibile è San Francesco d’Assisi. La sua iconografia è umile, coerente con il messaggio della sua vita: veste un saio marrone stretto in vita da un cordone, ha la testa rasata nella parte superiore – la tipica tonsura monastica – e spesso mostra le stimmate, le ferite della Passione di Cristo apparse miracolosamente sul suo corpo. In alcune immagini tiene in mano un teschio, simbolo di meditazione sulla morte.

    San Sebastiano, invece, è uno dei santi più iconici e drammatici. Generalmente raffigurato quasi nudo, con un semplice drappo a coprire i fianchi, il suo corpo è trafitto da frecce. L’espressione è spesso serena, quasi estatica, a contrasto con la violenza del martirio. Quando non è rappresentato nel momento della tortura, porta comunque una freccia in mano, per ricordarne la storia.

    San Pietro si riconosce soprattutto per un attributo: le chiavi, simbolo del potere spirituale conferitogli da Cristo. Ha capelli e barba bianchi, a volte veste da pontefice e tiene in mano un libro. In alcune raffigurazioni compare con un gallo, richiamo al triplice rinnegamento raccontato nei Vangeli. In scene più rare è raffigurato crocifisso a testa in giù, per scelta personale, non ritenendosi degno di morire come il suo Maestro.

    San Girolamo presenta due volti. In quanto eremita penitente è rappresentato con barba lunga, il petto nudo, accanto a un teschio, una clessidra e un libro. Spesso lo si vede colpire il petto con un sasso, gesto di penitenza. Ma è anche il dotto traduttore della Bibbia in latino, e in questo caso indossa abiti cardinalizi, con un ampio cappello rosso e, spesso, è seduto in uno studio. Al suo fianco può comparire un leone, legato alla leggenda secondo cui avrebbe curato l’animale togliendogli una spina dalla zampa.

    San Giorgio è uno dei santi più riconoscibili anche da chi non è esperto. È il cavaliere che affronta il drago. Sempre armato e in sella a un cavallo, infilza con la lancia la bestia che minacciava la città di Silene, salvando una principessa. È il simbolo della vittoria della fede sul male.

    San Lorenzo è legato a un oggetto preciso: la graticola. Martire del fuoco, viene spesso rappresentato mentre viene arrostito o mentre tiene in mano una piccola grata. Veste da diacono e ha in mano una palma, simbolo comune del martirio.

    Santo Stefano, anch’egli diacono, morì lapidato. Il suo attributo sono le pietre, che possono comparire sul capo o tra le mani. Veste in modo elegante, tiene spesso un libro e la palma, e il suo volto è giovane, sereno.

    Santa Lucia è forse la più singolare. Il suo simbolo sono due occhi, posti su un piccolo piattino che tiene in mano. Si tratta di un’immagine fortemente simbolica, legata a leggende che parlano di enucleazioni volontarie o di martiri oculari. Ma il riferimento più plausibile è l’etimologia del nome Lucia, da “lux”, luce. Per questo può comparire anche con una coppa contenente una fiammella.

    Santa Caterina d’Alessandria, figura colta e raffinata, è associata alla ruota dentata, strumento del supplizio a cui fu condannata. La leggenda vuole che la ruota si spezzò miracolosamente, motivo per cui viene spesso raffigurata con una sezione spezzata del congegno. Porta con sé anche una spada, simbolo della decapitazione, e la palma del martirio.

    Infine, Maria Maddalena è una delle sante più rappresentate, ma anche tra le più complesse da identificare per la varietà delle sue iconografie. Può apparire elegante e sensuale prima della conversione, inginocchiata e piangente ai piedi della croce, oppure penitente, con abiti disordinati, nuda ma coperta dai lunghi capelli, spesso con un teschio, un libro o un vasetto di unguento.

    Potremmo continuare a lungo: il repertorio iconografico dei santi è vastissimo. Ma, come accade spesso con l’arte, non è necessario riconoscere ogni singolo elemento per coglierne il significato profondo. Più importante è comprendere il messaggio complessivo dell’opera, lo stile con cui è stata realizzata, la composizione, la luce, le scelte cromatiche, le espressioni. Gli artisti del passato, di secolo in secolo, hanno saputo raccontare le stesse storie in modi sempre nuovi, reinventando l’eterno con sensibilità e intelligenza.

    Come dimostra Beato Angelico, che nella predella del 1424 raffigurò ben sessantacinque santi, anche la memoria visiva può diventare uno strumento di meditazione, di conoscenza e di bellezza. E forse è proprio questo il senso più profondo dell’iconografia sacra: non solo identificare, ma imparare a vedere.

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    Redazione

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