Jean Louis Théodore Géricault nasce nel 1791 a Rouen, ma si trasferisce in giovane età a Parigi dove frequenta il Collegio Le Grand; nel 1808 è allievo del famoso pittore di cavalli Claude Joseph Vernet, successivamente frequenta nel 1810 lo studio di Pierre-Narcisse Guérin, un artista di rigorosa ispirazione neoclassica. La sua formazione avviene grazie anche al contatto diretto con i capolavori artistici del Louvre, dove studia in particolare le opere degli artisti rinascimentali e gli antichi sarcofaghi romani di cui restano i disegni dell’artista nell’Album di schizzi Zubaloff, visibile oggi nello stesso museo del Louvre.
È simultaneamente attratto dalle opere di Antoine-Jean Gros, che lo affascinano per la drammaticità e l’irrequieto uso del colore. Produce così Ufficiale dei Cavalleggeri della Guardia Imperiale (Parigi, Louvre), esposto al Salon nel 1812, simile negli intenti al Corazziere Ferito del 1814 (Parigi, Louvre) o al Cavallo spaventato dal fulmine del 1813 (Parigi, Louvre). Questi dipinti se, da un lato, riprendono l’eroica visione delle opere di Gros, dall’altro ne differiscono per un più preciso senso della realtà.
Fra il 1816 ed il 1817 si reca in Italia: soggiorna a Firenze e a Roma, dove è affascinato dall’opera pittorica di Michelangelo e di Raffaello, e forse anche dal gioco di luci dei dipinti di Caravaggio. Realizza alcuni schizzi, e lavora alla preparazione di una vasta composizione La Corsa dei barberi, di cui restano lo studio di Baltimora e quello di Rouen, è considerata una delle opere più belle che raffigurano l’evento che si svolgeva nel Carnevale Romano: la corsa di cavalli senza fantino.
Ritornato a Parigi, frequenta gli ambienti radicali che hanno a capo Guèrin, conosce Eugène Delacroix che è allievo di quest’ultimo, apre un proprio atelier. Anche se fa ancora riferimento a forme classiche, percepibile in Tori domati (Cambridge, Fogg Art Museum), Morte di Ippolito (Montpellier, Musée Fabre) incombe in Géricault il problema pressante della narrazione della realtà: economicamente autonomo grazie a una rendita famigliare, non accetta i vincoli formali imposti dalla committenza della Restaurazione, che ha perso ogni interesse per gli avvenimenti della storia. Affascinato dalla cronaca, elabora una serie di incisioni che descrivono il disfacimento delle armate bonapartiste.
Dall’aprile del 1816, per più di sedici mesi lavora a un dipinto che è considerato la sua opera principale: La Zattera della Medusa, un quadro di 35 mq (Parigi, Louvre). Prima di arrivare alla stesura definitiva del quadro, Géricault realizza molteplici schizzi e ben settanta studi preparatori. L’opera narra in maniera dettagliata e realistica un fatto di cronaca: verso la metà del 1816 la fregata la Meduse, che viaggiava verso il Senegal, si arenò nei pressi di Capo Bianco. Gli ufficiali si salvarono tramite le scialuppe, abbandonando marinari e passeggeri che decisero di costruire una zattera per scampare da una morte certa; venne così costruita una piattaforma di venti metri per sette su cui si ammassarono circa centocinquanta persone. Dopo aver vagato in mare per tredici giorni, soltanto quindici di essi riuscirono a sopravvivere, tratte in salvo dall’intervento del vascello militare Argus. Nella tela, il pittore raffigura il momento del salvataggio dei pochi sopravvissuti: la zattera carica di corpi in parte senza vita, solca le acque del mare oscuro e impetuoso, mentre lontano all’orizzonte si intravede la sagoma di una piccola nave. Una figura paterna medita sull’ingiusta morte del figlio, quel giovane nudo che trattiene all’interno della zattera, mentre alcuni ragazzi creano una sorta di piramide per farsi vedere dalla nave che presto li salverà. Attraverso una pittura densa, dai forti contrasti di luci e ombre, Géricault rappresenta perfettamente i sentimenti di paura, terrore, disperazione e speranza che compaiono nei volti dei naufraghi.

Foto da: www.louvre.fr
Trasferitosi in Inghilterra Géricault si entusiasmò delle opere di John Constable, realizza alcuni acquerelli e disegni con scene riprese dalla strada e dominate dal realismo. Dipinge anche un quadro a olio destinato a rimanere il capolavoro di questo periodo: Il Derby di Epson (Parigi, Louvre) del 1821, che nella precisa attenzione ai colori dell’atmosfera, dimostra la completa scomparsa di qualsiasi riferimento accademico.



Tornato in Francia nel 1822 si dedica ad altre opere dal profondo accento realista, realizza una serie di dieci dipinti sui malati di mente, considerati tra i più significativi ritratti realistici dell’ottocento francese, come Alienato con monomaniaca della gloria militare (Parigi, Louvre) e Alienata con mania del gioco (Parigi, Louvre). Si dedica anche a vaste composizioni, di cui ci restano solo disegni, che non furono portate a termine per la morte dell’artista avvenuta nel 1824 a Parigi.