Nato a Napoli il 10 dicembre 1841, Edoardo Dalbono crebbe in un ambiente colto e vivace. Suo padre, Carlo Tito, e lo zio Cesare furono letterati e critici d’arte, e lo indirizzarono presto verso la pittura e la cultura europea del tempo. Tra musica, storia antica e folclore, il giovane Dalbono sviluppò una sensibilità raffinata che avrebbe reso la sua pittura inconfondibile.
Fin da ragazzo mostrò un talento precoce per il disegno: studiò con l’incisore L. Marchetti a Roma e poi con maestri napoletani come B. d’Elia e N. Palizzi, esponenti della “scuola di Posillipo”. Nel 1859 partecipò alla Mostra di Belle Arti borbonica con un paesaggio di composizione, premiato due anni dopo con una medaglia d’argento. Nello stesso periodo, le sue vedute di mulini e paesaggi vesuviani rivelavano già l’influenza della scuola di Resina e di quel realismo luminoso che avrebbe segnato la pittura napoletana dell’Ottocento.
Il successo arrivò con la pittura storica. Nel 1870, La scomunica di re Manfredi gli valse la medaglia d’oro all’Esposizione nazionale di Parma. Ma fu nel 1871, con La leggenda della Sirena – oggi conservata al Museo di San Martino – che Dalbono conquistò pubblico e critica. L’opera, ispirata al mito di Partenope, univa rigore compositivo e fantasia romantica, e venne esposta anche all’Esposizione Universale di Vienna del 1873, dove ricevette la medaglia di bronzo. L’incisione di Francesco di Bartolo ne moltiplicò la diffusione, trasformandola in un’icona.

Grazie all’amicizia con Giuseppe De Nittis, Dalbono entrò in contatto con il celebre mercante francese Goupil, per il quale lavorò tra il 1878 e il 1882. Le sue tele, delicate e luminose, piacquero al mercato internazionale e fecero di lui uno dei pittori italiani più apprezzati a Parigi. Il voto alla Madonna del Carmine, replicato in numerose versioni, divenne un piccolo classico dell’immaginario napoletano: figure popolari, mare calmo, devozione e vita quotidiana fuse in una tavolozza dorata e seducente.
Nel clima del “Risanamento” di fine secolo, Dalbono divenne anche decoratore richiesto da nobili e borghesi: affrescò ville, teatri e chiese, preferendo la tecnica a tempera per la sua eleganza e duttilità. Fu inoltre illustratore per testate come L’Illustrazione Italiana e Le Grand Monde, e collaborò con l’editore Treves per libri per ragazzi e volumi sulla vita napoletana.
Dal 1897 insegnò pittura all’Istituto di Belle Arti di Napoli, e nel 1905 assunse la cura della Pinacoteca del Museo Nazionale, oggi Capodimonte. Uomo colto e raffinato, seppe conciliare il ruolo di artista con quello di custode del patrimonio. Morì nella sua città il 23 agosto 1915, lasciando una lezione di eleganza e sentimento pittorico che attraversò due secoli.
Oggi, le sue opere si trovano nella Galleria dell’Accademia di Napoli, nella Galleria d’Arte Moderna di Milano, nella Pinacoteca di Bari e nel Museo Revoltella di Trieste. Dalbono resta un interprete limpido della luce di Napoli, capace di fondere storia, mito e realtà in una pittura che ancora incanta.
