Le Gallerie Nazionali di Arte Antica arricchiscono il percorso espositivo di Palazzo Barberini con due importanti sculture del Seicento, esposte nella Sala Sacchi:
- il busto del Cardinale Antonio Santacroce di Alessandro Algardi (Bologna, 1598 – Roma, 1654),
- e il ritratto del Nano del Duca di Créquy di François Duquesnoy (Bruxelles, 1597 – Livorno, 1643).
Entrambe le opere offrono un nuovo punto di vista sulla Roma barocca e sulla raffinata cultura artistica della famiglia Barberini.
Il busto di Santacroce, mai esposto prima e proveniente da una collezione privata, fu realizzato intorno al 1639–1641 in un unico blocco di marmo. L’opera rivela la sobrietà monumentale e la forza espressiva proprie di Algardi, lontane dalla teatralità berniniana, e rappresenta un capolavoro di equilibrio e nobiltà formale.

Accanto a questo, il ritratto del Nano del Duca di Créquy di Duquesnoy, proveniente dalle collezioni di Palazzo Barberini, raffigura Michel Magnan, detto Micheau, personaggio di corte francese. La scultura, probabilmente un dono del duca Charles I de Créquy al cardinale Antonio Barberini, unisce realismo vivace e ironia raffinata con un’eleganza di gusto classico. Il busto del Nano del Duca di Créquy di François Duquesnoy
Di segno più intimo e ironico è il busto del Nano del Duca di Créquy, realizzato dallo scultore fiammingo François Duquesnoy (Bruxelles, 1597 – Livorno, 1643), una delle figure più originali del classicismo romano del primo Seicento. La scultura, proveniente dalle collezioni Barberini, raffigura Michel Magnan, detto Micheau, personaggio di corte francese al servizio del duca Charles I de Créquy, ambasciatore del re di Francia a Roma. Commissionato in occasione di una missione diplomatica e probabilmente donato al cardinale Antonio Barberini, il busto fonde acutezza psicologica e eleganza formale. Duquesnoy, artista dallo spirito umanista, interpreta Micheau con realismo vivace e sottile ironia: il volto pieno, l’acconciatura elaborata e l’espressione compiaciuta restituiscono una figura a metà tra il ritratto di costume e l’allegoria morale. La sua sensibilità nordica si unisce qui alla lezione dell’antico, creando un’opera di equilibrio armonioso e profonda umanità, dove la caricatura diventa riflessione sulla condizione umana.
I due busti dialogano tra loro nella Sala Sacchi, creando un raffinato percorso tra naturalismo e classicismo, che approfondisce la conoscenza della Roma del Seicento e dell’ambiente artistico barberiniano.

Il busto del Cardinale Antonio Santacroce di Alessandro Algardi
Realizzato intorno al 1639–1641 e proveniente da una collezione privata, il busto del Cardinale Antonio Santacroce è un esempio compiuto della poetica di Algardi (Bologna, 1598 – Roma, 1654), maestro dell’austerità barocca e raffinato interprete della tradizione classica. Il cardinale, figura eminente della Roma barberiniana e raffinato collezionista, è ritratto con sobria monumentalità: lo sguardo severo, la posa composta e la resa attenta dei dettagli — la barba cesellata, le pieghe del piviale, la definizione dei capelli — traducono in marmo un senso di dignità silenziosa e autorità morale.
L’opera si distingue per la sua assenza di teatralità, in netto contrasto con i “ritratti parlanti” di Gian Lorenzo Bernini, e per la tensione verso un equilibrio classico che richiama la lezione dell’antico e del Rinascimento bolognese. In questo busto, Algardi offre una visione intellettuale e misurata del potere, in cui la verità del volto è sublimata in forma ideale. È un ritratto che non cerca l’emozione immediata, ma piuttosto la nobiltà atemporale di un uomo di chiesa e di cultura.
