Nel vasto panorama delle arti decorative europee, l’arazzo occupa un posto d’onore. Tessuto su telaio, frutto di un intreccio paziente di fili colorati, esso unisce arte, tecnica e simbolismo in un’unica, affascinante espressione. Dalla funzione pratica di rivestimento murale fino al ruolo di emblema religioso e politico, l’arazzo racconta la storia del gusto, della fede e del potere attraverso i secoli.
Origini e diffusione
L’arte dell’arazzo ha origini antichissime: esempi di tessuti decorativi intrecciati si trovano già nelle civiltà dell’antico Egitto e del Vicino Oriente. Tuttavia, è nel Medioevo europeo che essa trova la propria forma più compiuta. La città francese di Arras, da cui deriva il termine stesso “arazzo”, divenne nel XIV secolo uno dei principali centri di produzione. Qui, e poi nelle Fiandre e a Bruxelles, nacquero officine che resero questa forma d’arte un segno di prestigio e raffinatezza.
Gli arazzi erano originariamente concepiti per decorare e isolare le grandi sale dei castelli e delle residenze nobiliari. La loro trama fitta e pesante contribuiva a mantenere il calore, ma il valore simbolico superava di gran lunga quello pratico: le pareti di tessuto illustravano scene mitologiche, bibliche o cavalleresche, testimoniando il rango e la cultura del proprietario.
L’arazzo come racconto figurato
A differenza della pittura, l’arazzo nasce dalla collaborazione di più mani: un pittore realizza il cartone preparatorio, mentre i tessitori, chini sul telaio, traducono il disegno in fili di lana, seta, oro o argento. L’immagine prende forma lentamente, con un ritmo quasi meditativo, dove ogni passaggio della navetta è una pennellata di colore tessuto.
Nel mondo cristiano, gli arazzi sacri divennero strumenti di catechesi e devozione. In un’epoca in cui la maggior parte della popolazione era analfabeta, le immagini di Cristo, della Vergine e dei santi avevano una funzione narrativa: educavano, ispiravano e commuovevano. Durante le feste religiose, le chiese e le cattedrali si adornavano di grandi drappi, esibiti come simboli di fede e di splendore.
Dal Rinascimento al Barocco: la stagione d’oro
Tra XV e XVII secolo l’arazzo raggiunge la sua età d’oro. I più grandi artisti dell’epoca — da Raffaello a Rubens, da Goya a Giulio Romano — fornirono disegni e cartoni per le manifatture di Bruxelles, Arras, Beauvais e Gobelins. Gli arazzi della serie degli Atti degli Apostoli disegnati da Raffaello per la Cappella Sistina restano un vertice assoluto di questa arte: un incontro tra pittura e tessitura, tra l’idea e la materia.
In questo periodo l’arazzo diventa anche uno strumento politico. Le grandi corti europee lo utilizzano per celebrare vittorie militari, alleanze dinastiche o eventi religiosi. Portatili e facilmente arrotolabili, gli arazzi seguivano i sovrani nei loro spostamenti, trasformando qualunque ambiente in una sala del trono.
La rivoluzione del telaio Jacquard
L’Ottocento segna un cambiamento profondo. Con l’invenzione del telaio Jacquard (1804), ideato dal francese Joseph-Marie Jacquard, la tessitura diventa in parte automatizzata grazie a un sistema di schede perforate che comandano i fili dell’ordito. L’arte dell’arazzo si apre così alla produzione seriale, anticipando, in un certo senso, i principi della programmazione informatica.
Nonostante le resistenze degli artigiani tradizionali — come la celebre rivolta dei tessitori di seta di Lione nel 1831 — l’innovazione si impose, rendendo possibile la realizzazione di motivi sempre più complessi e raffinati.
L’arazzo nell’età moderna e contemporanea
Con l’avvento della pittura da cavalletto e poi della fotografia, l’arazzo perse il suo ruolo di mezzo principale per la rappresentazione figurativa. Tuttavia, non scomparve mai del tutto. Nel Novecento, artisti come Jean Lurçat e Le Corbusier recuperarono la tradizione in chiave moderna, trasformando l’arazzo in un linguaggio autonomo, capace di dialogare con l’architettura e il design.
Oggi, gli arazzi — sacri o profani — tornano a suscitare interesse per la loro materialità tattile, per il ritmo della trama e dell’ordito che sfida la velocità del mondo digitale. Nelle chiese, nelle case o nei musei, continuano a parlare un linguaggio antico e universale, fatto di fili e di fede, di colore e di silenzio.
Bibliografia essenziale
- Standen, E. European Post-Medieval Tapestries and Related Hangings in the Metropolitan Museum of Art, New York, 1985.
- Delmarcel, G. Tapestries from the Renaissance to the Present, New York, 1999.
- Alpatov, M. Storia universale dell’arte, Torino, 1968.
